Un altro disastro per colpa dell’attività dell’uomo: un villaggio si trova in una situazione di grave pericolo poiché sta sprofondando. Ed è subito esodo si massa.
Non è di certo la prima volta che l’uomo genera disastri naturali di enorme portata. Dall’aumento della temperatura agli alluvioni, passando attraverso lo scioglimento dei ghiacciai.
Fenomeni sempre più preoccupanti che negli ultimi anni stanno scatenando azioni di protesta da parte degli ambientalisti e degli attivisti più giovani. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce la vicenda del villaggio svedese di Kiruna, situato a circa 200 chilometri dal circolo polare artico, che sta letteralmente sprofondando.
Villaggio in pericolo: sta sprofondando
Come abbiamo anticipato poco fa, la città svedese di Kiruna, situata a circa 200 chilometri a nord del circolo polare artico, sta per essere trasferita in un’altra zona del Paese, poiché sta iniziando a sprofondare. La causa? Ovviamente l’attività dell’uomo. Negli ultimi anni, infatti, in quest’area si sono svolte intese estrazioni minerarie. Il villaggio era stato di fatto costruito per ospitare i lavoratori di una miniera di ferro installata 125 anni fa. La maggior parte degli operai ha accolto con favore il trasferimento e, con il passare del tempo, l’impianto di Kiruna è cresciuto fino a diventare il più grande al mondo. Ciò, però, ha comportato anche una destabilizzazione del terreno su cui sorge la città stessa con conseguenze potenzialmente devastanti.
L’esodo di massa
Quando nel 2018 il Governo svedese si è accorto che il villaggio di Kiruna stava sprofondando, anziché decidere di chiudere la miniera, ha predisposto il trasferimento della città con i suoi 23 mila abitanti per la cifra di 1,8 miliardi di euro. Ciò comporterà anche lo spostamento di 450 mila metri quadrati di case, scuole, locali pubblici, attività commerciali e per il tempo libero e chiese. L’intera operazione dovrebbe concludersi entro il 2035, ma le preoccupazioni per lo sprofondamento del terreno continuano a destare timori fra gli esperti.
Soprattutto per quanto riguarda le zone circostanti la miniera dove vivono le popolazioni indigene della Lapponia, i Sami, che si occupano principalmente dell’allevamento di renne. “La diversità biologica nell’Artico è molto importante anche per gli abitanti del continente” ha spiegato Stefan Mikaelsson, vicepresidente del Consiglio del Parlamento Sami. “Non possiamo dipendere solo dall’Amazzonia e far finta che proteggendola ci sia permesso di mantenere le abitudini di consumo, l’estrazione di risorse naturali e i profitti nell’Artico per un numero infinito di anni”. Ha infine concluso. Una riflessione che ogni Paese dovrebbe portare avanti prima che si verifichino ulteriori disastri ambientali.
Articolo di Veronica Elia