La Covid è tornata a far paura: i numeri dei contagi sono saliti, ma ci sono molte differenze con la prima ondata. Domande e risposte sul coronavirus oggi
Quasi 6 mila nuovi casi giornalieri e un inverno che deve ancora iniziare. Uno scenario che accresce le preoccupazioni sulla seconda ondata di coronavirus. I drive in per i tamponi sono presi d’assalto mentre si aspetta il contenuto del nuovo DPCM e le possibili restrizioni che ci saranno.
Cosa succederà nelle prossime settimane? Torneremo alla situazione di Marzo e Aprile? Se ci sono tanti nuovi contagiati perché non ci sono tanti malati in Terapia Intensiva? Qual è la verità sui numeri dei contagi e quali le bufale? Facciamo chiarezza: senza allarmismi inutili, senza complotti, ma affidandoci solo ai numeri e all’analisi degli esperti.
Dopo un’estate rilassata, l’autunno ci ha strappato dalla tranquillità e ci ha fatto piombare nella seconda ondata della pandemia. I contagi salgono, l’allarme torna in tv, mentre ci si barcamena fra scuola, lavoro e autobus pieni. La situazione è in rapida evoluzione. I giornali si lasciano andare a titoli catastrofisti, i virologi che analizzano e i politici emanano ordinanze.
Ma cosa sta succedendo? Al momento ci sono 79 mila positivi al coronavirus in Italia, con un incremento giornaliero di circa 5 mila unità. I ricoverati sono 4500. In terapia intensiva ci sono 420 persone. Numeri ben diversi da quelli drammatici di aprile scorso. Eppure la situazione è preoccupante. Perché? Ecco tutte le risposte alle domande più comuni di questo momento e gli scenari possibili.
Quanto successo a marzo e aprile non riaccadrà mai più in quei specifici termini. La differenza sostanziale fra oggi ed allora è soprattutto in termini di conoscenza. Allora, a marzo, ci si trovava di fronte ad un virus nuovo e completamente sconosciuto. I medici non sapevano come comportarsi e quali strategie adottare. Non c’era educazione di comportamento nella popolazione e non c’era un lavoro di tracciamento.
Quando la pandemia scoppiò venimmo presi di sorpresa, tutto il mondo venne sconvolto. Fu necessario organizzarsi, capire con chi si aveva a che fare, prendere decisioni sulla base di poche informazioni. Oggi è ben diverso: ci sono 30 studi sul vaccino, di cui diversi alla fase 3. Ci sono protocolli medici condivisi con gli scienziati di tutto il mondo. C’è consapevolezza nella popolazione.
Ma la strada è ancora lunga e molto pericolosa. Non c’è un farmaco che guarisce dal coronavirus e non c’è ancora un vaccino. Se non si fa attenzione rischiamo di trovarci in una situazione altrettanto drammatica.
Una risposta secca non può esserci, ma si sta lavorando affinché non accada. Per evitare è necessario testare e tracciare il più possibile così da isolare i focolai. Dove non si faccia in tempo a fare questo ci potranno essere dei lockdown mirati e locali.
Se si guardano i numeri dei nuovi positivi al coronavirus di oggi 11 ottobre si vede che siamo tornati ai livelli di fine Marzo. Ma fortunatamente in terapia intensiva non è affatto la stessa cosa. Allora avevamo circa 3 mila persone ricoverate, oggi 400. E anche i decessi sono imparagonabili: circa 30 contro i 600 di allora.
Dunque cosa significano queste differenze numeriche? A Marzo si facevano pochissimi tamponi. Venivano testati solo i casi più gravi. La stragrande maggioranza, gli asintomatici, non erano nemmeno sottoposti a tampone. Si ipotizza che in quei giorni di marzo se si fossero eseguiti i test tanti come oggi i positivi sarebbero stati 50 mila.
L’indagine effettuata dal Ministero della Sanità ha valutato infatti che circa 2 milioni di italiani da marzo a giugno sono entrati in contatto con il virus.
Oggi si fanno 10 volte più tamponi di allora. I positivi, asintomatici o meno, vengono intercettati e posti in condizioni di isolamento. Questo permette una minore diffusione dell’epidemia, una più rapida individuazione dei malati e di conseguenza un migliore andamento della malattia. Si interviene prima e meglio.
Molti leggendo di terapie intensive con pochi ricoverati e di una maggioranza di persone asintomatiche non vede motivo di preoccupazione. Invece il motivo c’è, eccome. I positivi stanno velocemente aumentando e più aumentano più proporzionalmente avremo malati da ricoverare.
Più cresce il numero dei positivi più inevitabilmente infatti cresce quello dei ricoverati e di coloro i quali hanno bisogno della terapia intensiva.
Sulla pagina facebook ‘Pillole di Ottimismo’ a cura del professor Guido Silvestri si legge il report giornaliero del dottor Spada che analizza i numeri. “Oggi ci sono 4519 pazienti ricoverati in ospedale, pari al 15.6 del valore di picco 29010 del 4 Aprile. I pazienti in TI sono complessivamente 420, pari al 10,3% del massimo valore raggiunto (4068, il 3 aprile; minimo valore raggiunto: 38, il 29 luglio).
Sempre dalla pagina Pillole di Ottimismo: “Negli ultimi sette giorni abbiamo avuto in media 4232 nuovi positivi al giorno, ossia +2024 casi al giorno rispetto ai sette giorni precedenti (ieri era +1728).
L’aumento percentuale complessivo in questi ultimi sette giorni, rispetto ai sette precedenti, è stato pari al 47,8% . La media giornaliera dei casi in Italia nelle ultime quattro settimane ha avuto questo andamento: 1486, 1673, 2208, 4232. Il rapporto tra i positivi e il numero di persone testate, calcolato come media su sette giorni nelle ultime quattro settimane, è stato: 2,75%, 2,95%, 3,71%, 6,23%”.
Dunque il trend è in aumento. Ed è questo che deve farci preoccupare. Bisogna invertire la tendenza prima che sia troppo tardi.
C’è chi vorrebbe dare la colpa al calcio, chi alla scuola, chi ai mezzi pubblici pieni, chi a quelli che non indossano la mascherina. Fatto sta che con la fine dell’estate i casi di Covid sono esponenzialmente aumentati. Se a luglio la situazione era decisamente tranquilla, ora non lo è affatto. Ma perché?
Ci sono vari fattori che incidono. Innanzitutto bisogna ricordare che il coronavirus è un virus respiratorio e come tutti i virus respiratori ha un’incidenza maggiore nelle stagioni fredde. Il clima caldo tra le tante cose non facilita la sospensione delle droplets. Poi in estate si sta maggiormente all’aperto, si sta più distanti e si hanno maggiori difese immunitarie.
Con i primi freddi le difese immunitarie crollano, si sta più al chiuso e il clima freddo facilita il passaggio delle droplets. A ciò si aggiungono i comportamenti non virtuosi, come l’eccesso di rilassatezza che c’è stata quest’estate. Il ritorno in città ha ovviamente favorito la diffusione.
Considerando che siamo appena ad inizio ottobre e dobbiamo affrontare ancora tutto l’inverno si potrebbe pensare che non c’è via di scampo. Invece fortunatamente ancora c’è. E’ necessario però uno sforzo da parte di ogni singolo cittadino e da parte delle istituzioni. Bisogna fare più tamponi e più in fretta. Senza code chilometriche e senza lunghissime attese per avere il referto.
E’ da parte di ogni persona è indispensabile comportarsi con buon senso: indossare sempre la mascherina, stare a distanza, lavarsi le mani.
Sì, almeno per adesso, decisamente sì. In Italia secondo la fonte ECDC ci sono 49.03 nuovi positivi ogni 100 mila abitati (un mese fa erano appena 18). In Belgio ce ne sono 182.1, in Spagna 154.1, in Francia 142.9, in Gran Bretagna 121.2, in Germania 23.3). Sul sito dell’OMS si può monitorare l’andamento del virus in tutto il mondo. Il merito di questo vantaggio va al lockdown severo che abbiamo avuto. Non dobbiamo sprecare quanto di buono abbiamo fatto, quanto abbiamo patito.
Tutto dipenderà dai comportamenti individuali e dal lavoro di tracciamento. Se riusciremo a mantenere la curva dei contagi lineare basteranno poche misure restrittive come quelle che emergeranno nel prossimo DPCM. Ma se questo non avverrà lo scenario sarà più scuro. “Se l’aumento dei contagi – ha spiegato l’epidemiologo Paolo Bonanni al Corriere della Sera – diventerà esponenziale, passando in pochi giorni da 5mila a 8-12mila al giorno, allora sarà ragionevole pensare alla chiusura di alcune regioni o di alcune aree del Paese che rischiano di tornare alla situazione di marzo”.
L’arrivo di un vaccino cambierà radicalmente la situazione, ma non sarà comunque un effetto immediato. Se tutto andrà per il verso giusto le prime dosi di vaccino saranno disponibili per la fine dell’anno o l’inizio del 2021. Dapprima sarà somministrato alle categorie più esposte e poi successivamente al resto della popolazione.
Il periodo più duro sarà dunque fino alla prossima primavera. Bisogna scavallare questo inverno. Poi l’arrivo della bella stagione – e ci si augura la presenza del vaccino – dovrebbero rendere la situazione sotto controllo.
La pandemia finirà però quando ci sarà un’immunità di gregge sufficiente. Servirà del tempo affinché questo avvenga, probabilmente tutto il 2021. Il tempo più difficile sarà però adesso. Tenere duro almeno per i prossimi 6 mesi.